La recente sentenza della Corte di Cassazione ha portato all’annullamento delle condanne di primo e secondo grado a carico di Antonio De Pace, accusato dell’omicidio della sua fidanzata Lorena Quaranta. Il crimine, avvenuto nel marzo 2020, ha visto la giovane quasi laureata in Medicina perdere la vita per mano di De Pace, infermiere, che l’ha strangolata nell’appartamento che condividevano a Furci Siculo, Messina.
La Cassazione ha ritenuto che i giudici di primo e secondo grado non abbiano adeguatamente considerato l’effetto dello “stress da coronavirus” sull’omicida. Secondo la Corte, la pandemia ha creato un contesto drammatico e sconosciuto che ha generato un disagio psicologico significativo, evoluto in ansia e angoscia, in Antonio De Pace. Queste circostanze avrebbero dovuto essere prese in considerazione come attenuanti generiche.
Antonio De Pace dunque si sottoporrà ad un altro processo poichè, stando ai giudici della prima sezione penale della Cassazione, “La sentenza non tiene conto della causa che ha provocato la condizione di agitazione”.
Se il nuovo appello dovesse condividere le posizioni della Cassazione, l’uomo potrebbe ottenere sia l’annullamento dell’ergastolo che uno sconto di pena.
Per Vincenzo, il padre della vittima, usare la pandemia come scusa è inaccettabile: “Il Covid era appena cominciato. La verità è che De Pace aveva un complesso di inferiorità nei confronti di mia figlia. Lei si era quasi laureata in Medicina, lui era specializzando in Scienze Infermieristiche e Lorena l’aveva spinto a non fermarsi e a entrare in Odontoiatria”, ha raccontato l’uomo a Il Messaggero. “Aveva paura di non essere all’altezza, ma non sapevamo fosse un mostro”.
Concetta Miasi, avvocata del centro antiviolenza Una di noi, ha criticato duramente la sentenza della Cassazione: “Queste motivazioni lasciano spazio alla possibilità di ritenere che tutto sia lecito se commesso in un periodo di stress”.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.